La rete si chiuse attorno alle sue ali e non poté districarsi né uscire dalla diabolica fonte a cui s’era avvicinato per dissetarsi. Il falco emise un grido di dolore e si affannò inutilmente quando le mani robuste del cacciatore lo afferrarono e lo chiusero nell’involucro di plastica. Poi l’uomo si diresse verso la montagna e lì, in cima alla roccia, prese una gabbia e con un filo di ferro lo legò dentro, immobilizzandolo. Il cacciatore si mise a sedere aspettando la notte e quando essa arrivò e le stelle brillarono nel firmamento, accese un grande fuoco. Più tardi, verso l’alba, alcuni uomini lo raggiunsero e parlarono con lui. Sulla montagna ci fu un gran vocìo sommesso, come se da un istante all’altro dovessero spuntare i fantasmi. Infine, appesero ad un albero la gabbia e, per un gioco nefasto dei loro cuori, incominciarono a sparare alla bestia colpendola ripetutamente a morte. Il primo cacciatore si diresse verso il falco sanguinante e disse: “Il demonio è diventato angelo. Adesso vola libero nel cielo e non avrà più sete.” “Perché?” gli chiese un amico e lui gli rispose: “Questa bestia ha accecato mio figlio… era pericolosa… per questo l’ho uccisa.”
Ritornò la sera e sulla montagna altri falchi volarono attorno al cadavere bestialmente mutilato del loro simile, intonando un moto agghiacciante che sembrava volesse richiamare alla vita il povero essere che dondolava dall’albero come uno zombi. All’alba del giorno dopo i falchi planarono per abbeverarsi alla sorgente antica dove i colpi di fucile sparati a ripetizione li decimarono, portando in seno alla campagna un momento interminabile d’inferno e di buio mefistofelico.
Allora il grido della natura si fece funesto e la morte si alzò in volo attraverso l’immagine di un’aquila maestosa che, afferrato il cacciatore con i suoi artigli poderosi, lo sollevò dal suolo per poi scaraventarlo in un abisso. Così, l’occhio invincibile della luce ebbe vendetta e pace, e l’indomani la sommità della montagna fu coperta da una coltre di nebbia fittissima, addormentando nel sonno del tempo le ali dell’universo.
Antonio Carasi